Roma, 08 novembre 2022
In questi ultimi tempi si è sentito parlare molto spesso della seria difficoltà che hanno i titolari di farmacia nel reperire farmacisti collaboratori, ma poco si è dato spazio ai diretti interessati per conoscere quali siano le reali motivazioni di questo allontanamento da una delle professioni sanitarie più rispettabili che svolge il suo prezioso ruolo a diretto contatto con tutta la popolazione.
Essendo una farmacista e una rappresentante del Comitato No Enpaf, un comitato spontaneo formato da farmacisti dipendenti e disoccupati, ho la possibilità ogni giorno di raccogliere testimonianze dirette e punti di vista di chi quotidianamente lavora in farmacia e passa le sue ore a stretto contatto sia con la clientela sia con i datori di lavoro.
Ebbene quali sono queste motivazioni?
ENPAF: voglio cominciare citando per primo questo argomento scottante, “l’elefante nella stanza” per tutti i farmacisti, perché tutti lo devono obbligatoriamente pagare ma sfido chiunque a trovare un farmacista soddisfatto nel farlo.
Nonostante sia il motivo meno citato nei vari articoli di giornale che si leggono su questo tema, è in realtà uno di quelli che crea più disagio.
Forse non tutti sanno che i farmacisti dipendenti devono pagare due previdenze, Inps (come tutti i lavoratori dipendenti tramite busta paga come è normale che sia) ed Enpaf, di tasca propria, per via di una legge anacronistica risalente al dopoguerra che obbliga tutti i farmacisti iscritti all’albo anche all’iscrizione d’ufficio e quindi al pagamento dei contributi all’Enpaf.
In Italia tale doppio obbligo previdenziale per sanitari che svolgono un unico lavoro riguarda oggi solo i farmacisti e i medici dipendenti. Per tutte le altre professioni sanitarie il pagamento dei contributi alla cassa previdenziale di appartenenza è prevista solo se il lavoratore non ha un rapporto di lavoro subordinato.
Pagare Enpaf significa per tantissimi colleghi non poter scegliere liberamente una seconda previdenza complementare più vantaggiosa, considerato che alla spesa Enpaf si aggiunge la tassa dell’Ordine.
Per altri significa rinunciare spesso ad un lavoro a tempo determinato o ad una sostituzione a causa delle norme del regolamento Enpaf, che di fatto rendono difficoltoso lavorare come farmacisti per brevi periodi o in maniera discontinua.
Per altri ancora, significa spendere quasi la metà di quanto guadagnato (come nel caso degli stagisti), e per i colleghi che si trovano in stato di disoccupazione da più di 5 anni, significa, il più delle volte, addirittura cancellarsi dall’albo e quindi dal mondo lavorativo come unica soluzione per non dover pagare l’esosa cifra di 2.300 euro circa ogni anno, cifra pagata anche da chi non presenta la domanda di riduzione in tempo utile o non possiede determinati requisiti previsti dal regolamento Enpaf.
Questi sono solo alcuni esempi, ma ci sono molte altre spiacevoli situazioni vissute sulla pelle dei colleghi e delle loro famiglie che fanno di Enpaf un vero e proprio disagio invece che una risorsa.
STIPENDIO: quasi mi vergogno a scrivere quanto si ritrova al mese in busta paga un farmacista collaboratore, bisogna però sfatare, una volta per tutte, l’errata convinzione che quel dottore col camice bianco, che ogni giorno vediamo dietro il bancone a fare di tutto e di più, guadagni un sacco di soldi!
Ebbene, il farmacista dipendente italiano guadagna in media 1.500,00 euro netti al mese, molto poco rispetto al lavoro di responsabilità (anche penale) che è chiamato a fare. Era già così prima della pandemia, e il divario è diventato ancora più abissale adesso che le mansioni sono aumentate: mi riferisco soprattutto alle esecuzioni dei tamponi e delle vaccinazioni, ma c’è una lunga lista che comprende tutti i vari servizi offerti oggi alla clientela.
ORARI E GIORNI DI LAVORO: chi decide di fare questo mestiere è sicuramente consapevole del fatto che in molte realtà lavorative, soprattutto nelle grandi farmacie e/o nelle grandi città, si possa lavorare la domenica e i giorni festivi, che le aperture possano andare dalla mattina presto fino a sera tardi: quello che non ci si aspetta (e che si scopre solo una volta entrati nel vivo della realtà lavorativa) è il fatto di dover fare questi sacrifici senza che ci sia una convenienza in termini economici a discapito della propria sacrosanta vita privata.
Ecco perché molti farmacisti preferiscono non lavorare più in farmacia e tentare altre strade come l’insegnamento a scuola o il lavoro nelle industrie farmaceutiche, perché riescono a coniugare al meglio vita lavorativa e privata, guadagnando di più.
La verità è che ci sono farmacisti di serie A (i titolari) e farmacisti di serie B (i collaboratori).
La verità è che negli anni si è sempre chiesto di più ai collaboratori senza dare la giusta ricompensa economica a fronte di nuove mansioni, orari e giorni di apertura più lunghi.
La verità è che per un farmacista collaboratore è difficile coniugare la vita lavorativa e quella privata e, perché no, anche la vita professionale con la partecipazione ai corsi di aggiornamento e di studio o la possibilità di partecipazione alle attività degli ordini professionali, che infatti sono per la quasi totalità, tolte alcune eccezioni, in mano ai titolari di farmacia.
La verità è che, negli anni, si è tirata troppo la corda e ora si sta spezzando…
Da qui, un’equazione che è molto semplice, e per la quale non c’è bisogno di tanti giri di parole: se non si vogliono far scappare i farmacisti dalle farmacie o non se ne trovano di nuovi, occorre semplicemente iniziare a retribuire i farmacisti collaboratori come si deve e come si conviene a dei professionisti della salute quali siamo, e togliere loro l’obbligo Enpaf.
Dateci dignità economica e previdenziale.
Mi voglio rivolgere anche ai colleghi farmacisti: facciamo di tutto per essere parte attiva di questo cambiamento che vogliamo e che ci meritiamo, facciamoci rispettare.
La storia scritta sinora che ha portato alla situazione attuale ci insegna che non possiamo continuare ad aspettare che le cose cambino da sole. E’ tempo di lavorare secondo coscienza.
Cordiali saluti
dott.ssa Alessandra Lo Balbo
per il Comitato No Enpaf