Jobs Act e Mobilità
INVIATA DA: Luigi F.
IL GIORNO: lunedì, 1 Aprile 2019
Buonasera,
vorrei porre un quesito per me molto importante.
Io sono dipendente di una multinazionale farmaceutica con contratto a tempo indeterminato da Settembre 2017.
Nella malaugurata ipotesi che nella mia azienda venisse aperta una mobilità, dopo ovviamente l’eventuale estinzione dei tempi determinati ed anche eventuali uscite volontarie di colleghi più anziani, da un punto di vista legale quale sarebbe la mia fine?
Grazie mille.
Luigi F.
La risposta dell’esperto
Gentile Luigi,
Grazie per esserti rivolto a informatori.it, ti inoltriamo di seguito la consulenza dell’avvocato Pace (nostra collaboratrice) che descrive una panoramica chiara circa i possibili scenari.
l’azienda usufruisce della mobilità, disciplinata dalla legge 223/91, ossia di uno degli strumenti previsti dalla legge (gli “ammortizzatori sociali”) per rendere meno disperate le conseguenze della perdita del lavoro subita; differentemente dalla Cassa integrazione, infatti, la mobilità non è alternativa al licenziamento, ma lo presuppone. In particolare, con la procedura di mobilità lo Stato offre, a determinate condizioni, un sostegno economico ai lavoratori licenziati e attiva i meccanismi necessari per favorirne la rioccupazione. Essa, quindi, non consiste semplicemente in un aiuto economico, ma consente, in certi casi, il passaggio dei lavoratori licenziati da aziende in crisi ad altre che abbiano bisogno di personale. Per iniziare la procedura, l’impresa (nel caso in esame, farmaceutica) deve darne comunicazione alle organizzazioni sindacali e alla Direzione Regionale del Lavoro in seguito alla quale si verificheranno eventuali strategie che possano evitare la soluzione della mobilità.
La mobilità è stata modificata con l’entrata in vigore della Legge di Stabilità del 28 giugno 2012 n. 92 e successive modificazioni recanti “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, prevedendo un alternativo sistema di protezione e sostegno ai lavoratori che perdono involontariamente il posto di lavoro, ovvero l’indennità ASpI e mini ASpI 2014, (circolare INPS n.42/2012).
Le aziende che dal 1 gennaio 2014 possono attivare la procedura di mobilità, ovvero, di licenziamento collettivo, sono:
- Imprese con più di 15 dipendenti già in Cassa integrazione guadagni straordinaria, CIGS: che, nel corso del programma di risanamento, dichiarano di non poter garantire il reinserimento di tutti gli lavoratori sospesi e di non poter adottare misure alternative al licenziamento;
- Imprese che occupano più di 15 dipendenti inclusi apprendisti e contratti di formazione: che, in seguito a una riduzione o trasformazione dell’attività o di lavoro, decidono di ricorrere al licenziamento collettivo;
- Imprese che occupano più di 15 dipendenti: che intendono ricorrere al licenziamenti collettivi per la cessazione dell’attività.
Il licenziamento collettivo si verifica quando un’azienda con più di 15 dipendenti decide di effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in una o più sedi nella stessa provincia per diverse cause tra cui :esaurimento della cassa integrazione straordinaria, trasformazione dell’attività aziendale, cessazione di attività aziendale.
L’azienda che a seguito di una delle cause ut supra decide di procedere al licenziamento collettivo, sceglie i lavoratori da collocare in mobilità in base ai criteri previsti dai contratti collettivi nazionali e dagli accordi sindacali. In assenza di tali accordi, la selezione avviene tenendo conto dei seguenti criteri:
- carichi di famiglia.
- anzianità.
- esigenze tecnico produttive ed organizzative.
L’indennità di mobilità spetta nella misura dell’80% della retribuzione teorica lorda spettante, che comprende le sole voci fisse che compongono la busta paga. Per i primi 12 mesi di mobilità: al lavoratore spetta il 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale, detratta una aliquota contributiva variabile; Dal 13° mese in poi di mobilità: al lavoratore spetta l’80% dell’importo lordo corrisposto nel primo anno.
Nel caso da Lei rappresentato ,rientrerebbe agevolmente nelle liste in quanto è necessario che il lavoratore possa far valere un’anzianità aziendale di almeno dodici mesi (Lei lavora da settembre 2017) di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine (circ. n. 3 del 2 gennaio 1992).
In bocca al lupo