I recruiter, si sa, sono particolarmente pignoli. Il loro lavoro è osservare, scrutare e scovare tutti i nostri punti deboli. Con l’obiettivo di trovare il quasi mitologico candidato ideale, non sono disposti a scendere a compromessi, soprattutto nelle primissime fasi del processo di selezione. È importantissimo, quindi, non prendere con leggerezza questi step iniziali di conoscenza reciproca tra candidati e aziende, perché spesso si rivelano il vero spartiacque. Abbiamo individuato i 5 errori che i recruiter non perdonano.
Tipologie di candidati
In particolare, la revisione del CV ed il primo colloquio, sia esso telefonico, tramite video call o di persona meritano particolare attenzione. Già in questa fase, ci sono alcuni errori che i recruiter assolutamente non perdonano. Anzi, potremmo addirittura identificare alcune tipologie di candidati che, quasi sicuramente, sono destinate a ricevere un sonoro rifiuto. Ecco un elenco semi-serio delle candidature che il recruiter è destinato a marcare come: non idonee.
1. L’informale
Dopo aver visionato circa un miliardo di CV negli e aver speso ore di data entry nel gestionale aziendale, il recruiter arriva finalmente ad occuparsi della sua attività preferita: la valutazione dei candidati. Investito di questa importante carica, si prepara a contattare una rosa di professionisti accuratamente scelti. Con orgoglio, il recruiter sa di farsi rappresentante dell’azienda, per questo prepara in anticipo le domande da porre. Scrive anche sul suo block notes alcuni appunti ed una breve scaletta per poter presentare al meglio la sua azienda e la posizione offerta, certo che il professionista che risponderà dall’altra parte ne possa restare affascinato. Trattiene il respiro e, finalmente, compone il primo numero di telefono, presentandosi in maniera formale ed utilizzando rigorosamente la formula di cortesia, dando del Lei. Nel giro di pochi minuti, si sente già confuso. “Il candidato mi sta forse dando del tu?”. Probabilmente il recruiter ha inteso male, riproviamo con un’altra domanda: “Gentilissimo, per quale ragione Lei ha deciso di candidarsi per questa opportunità?”. Il candidato risponde e le sue parole lo travolgono come una doccia fredda: “Scusami ma sono preso con un sacco di roba e qui c’è un casino assurdo. Comunque, piacere di conoscerti, la tua azienda è super interessante! Mi ripeti un attimo come ti chiami che non ho capito niente?”.
Morale della favola: mai e poi mai dare del tu ai recruiter, a meno che non siano loro in prima persona ad incoraggiarvi a farlo. E ricordiamo sempre che, chi ci sta contattando lo fa per valutarci quindi, non è consigliabile utilizzare un registro linguistico eccessivamente colloquiale, nemmeno se l’azienda dall’esterno appare informale.
2. Lo smemorato
Il recruiter alza nuovamente la cornetta del telefono armato delle più buone intenzioni. Si augura di trovare dall’altra parte un interlocutore altrettanto speranzoso di ricevere la sua chiamata, dalla sua importante azienda. Il curriculum è meraviglioso, l’esperienza pregressa, il titolo di studi, perfino gli hobby riportati sembrano calzare a pennello. Davanti al recruiter si alza il sipario del successo. Un film mai visto prima, con la selezione che si apre e si chiude nello stesso giorno in cui è partita perché, a volte, la fortuna gira anche a suo favore. Ahimè, però, il sogno si infrange subito dopo le prime frasi. Dall’altra parte del telefono ha trovato proprio lo Smemorato, colui il quale si candida ad almeno 22 annunci al giorno e non ricorda nulla né dell’azienda né della posizione. Le faremo sapere!
Morale della favola: capitano periodi in cui si cerca lavoro in maniera intensa. Innanzitutto, è bene quantomeno selezionare le offerte di interesse ed evitare di inviare il proprio CV in risposta ad ogni annuncio presente sul web. In secondo luogo, se non è possibile tenere traccia di tutte le aziende alle quali abbiamo inoltrato il curriculum, quantomeno cerchiamo di limitare il peggio evitando frasi come: non ricordo proprio poiché sto inviando centinaia di CV o, peggio, credo lo abbia inviato mia moglie/ marito. Entrambi gli esempi prendono spunto da fatti realmente accaduti.
3. Il fantasioso
In questo caso, il Fantasioso non si nasconde dietro ad un CV perfetto ma dichiara subito le sue intenzioni. Il suo indirizzo e-mail, infatti, riesce a risollevare il morale del recruiter anche nelle giornate più buie. Con una sferzata di immaginazione, come una fresca brezza nel grigiore dell’ufficio, il Fantasioso decide di dare libero sfogo a tutte le sue risorse creative ideando un geniale indirizzo e-mail, unico e indimenticabile. Del resto, si sa, un’email nome.cognome oltre a rasentare la banalità è ormai introvabile in un mondo di omonimi. Dunque, tocca ricorrere ad altre soluzioni. Ad arrivare in aiuto sono soprattutto i miti dell’infanzia, i supereroi, le eroine dei cartoni animati o i nickname che si utilizzavano alle medie. Dunque, spazio agli HulkHogan, MissTrilly, BlackScorpion77. Il recruiter, dopo essersi tuffato a sua volta nei ricordi di un tempo che fu, chiude il CV e procede senza pietà con un: non idoneo.
Morale della favola: prima di giungere al punto di utilizzare indirizzi email poco adatti all’ambito professionale, è sempre consigliabile creare un account composto da una combinazione di nome.cognome in tutte le sue possibili varianti, numeri inclusi.
4. Il vago
Il recruiter non crede ai suoi occhi. Il candidato ha un’esperienza pregressa proprio presso l’azienda competitor, pertanto si sarà sicuramente già occupato degli stessi prodotti di nicchia. Il selezionatore inizia a sentire una soave musica nelle sue orecchie. Vede davanti a sé tutto il processo di formazione stendersi come un tappeto rosso al cospetto del candidato perfetto, che arriva già pronto e formato, per andare dritto verso il suo nuovo lavoro senza nemmeno passare dal via. Ma il recruiter frettoloso ed entusiasta si è fatto abbindolare ancora una volta. Non sa ancora di aver incontrato proprio lui, il Vago, ovvero colui il quale ha scelto di non inserire neanche per sbaglio un riferimento temporale, una data, né di inizio né di fine, accanto alle proprie esperienze lavorative. Il selezionatore rilegge il CV alla ricerca di ogni tipo di indizio e decide che, forse, prima di chiedere delucidazioni chiamando direttamente il candidato, revisionerà gli altri 789 curricula arrivati in risposta all’annuncio, per poi dimenticarsene per sempre.
Morale della favola: il CV deve essere preciso e puntuale, senza nessuna area grigia. Il tempo medio che un recruiter dedica alla valutazione di un CV è quantificabile in secondi. Se le informazioni base non sono ben visibili o sono addirittura assenti, molto probabilmente le possibilità di essere contattati si abbasseranno drasticamente.
5. L’ingordo
Scoraggiato e scottato dopo le prime, ancora fresche, delusioni, il recruiter finalmente sembra aver trovato una candidatura idonea. Incalzato dalle domande e dai tranelli tesi dal selezionatore, il candidato schiva tutte le trappole in una corsa a ostacoli e si vede già tagliare il traguardo da vincitore. Impeccabile e sicuro di sé, vede già l’assunzione in tasca, con gioia del recruiter. Solo una domanda li separa dall’ambito titolo di: idoneo. “Cosa la spinge a valutare un’altra opportunità professionale?” Ed è proprio qui che si rivela, implacabile e spietato, l’Ingordo. Con alle spalle 50 minuti di colloquio perfetto, pochi secondi prima che il recruiter possa tirare l’atteso sospiro di sollievo, scioglie la ghigliottina e taglia la testa a ogni speranza. La sua motivazione non è legata ad un interesse verso l’azienda. Non è nemmeno in cerca di una crescita professionale. Non si trova neanche male con l’attuale azienda. Quindi, cosa cerca? La sua motivazione è unicamente, o principalmente, legata a una crescita economica. A poco sono valsi gli sforzi del nostro amico recruiter che tanto si era speso per descrivere l’ambiente di lavoro, la cultura e i valori aziendali.
Morale della favola: le motivazioni che spingono le persone a ricercare una nuova opportunità di lavoro sono molteplici. Tra queste, ovviamente, ci sono anche le leve legate alla retribuzione. Tuttavia, se ci mettiamo nei panni dell’azienda, una risorsa motivata primariamente da questo aspetto può apparire poco affidabile e scarsamente incline a sviluppare un senso di appartenenza.
Ti identifichi in una di queste tipologie? Raccontaci la tua esperienza con un commento sulle pagine Facebook o LinkedIn di Informatori.it, ti aspettiamo!
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