Osservando diversi questionari aziendali ho notato, sempre più spesso, la proattività tra i soft skills richiesti, una competenza personale che non riguarda le competenze tecniche. Questo mi ha incuriosito e ho cercato di capire cosa significhi, quanto sia importante e come possa tornar utile ad un Informatore Scientifico.
La prima cosa da definire è il suo significato attuale perché fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il termine “proattività” riguardava i processi di apprendimento, in particolare una tipologia di ritardo dell’apprendimento (P.Whiteley e G.Blankfort – Oxford English Dictionary).
Sarà Victor Frankl, psicologo e psichiatra, a definire la proattività “la prima e fondamentale attività di una persona altamente operativa in qualsiasi ambiente” (L’uomo alla ricerca di significato, 1946). Ciò inquadra una persona che assume in sé la responsabilità della propria vita, piuttosto che cercare le cause dei suoi problemi nelle circostanze esterne o nelle altre persone. Frankl era ebreo e proprio durante la sua esperienza in un campo di sterminio nazista rileva l’importanza di coraggio, perseveranza, responsabilità individuale e consapevolezza nella scelta, indipendentemente da situazione o contesto. In pratica, una persona può reagire alle circostanze in modo reattivo o proattivo: il reattivo si concentra sul problema, il proattivo mette il focus sulla soluzione.
Da qui il termine ha preso più direzioni e ho cercato di schematizzarne tre: la prima quella più legata all’ambiente lavorativo, le altre due si riferiscono all’atteggiamento personale (riferite alla responsabilità e alla creatività).
Proattività per le organizzazioni
Nel linguaggio aziendale proattivo è “chi, con il supporto di metodologie e strumenti utili, è capace di percepire anticipatamente i problemi, le tendenze o i cambiamenti futuri, al fine di prevedere e pianificare le azioni opportune in tempo” (Dizionario Treccani). In pratica si riferisce a una modalità anticipatoria, orientata al cambiamento e all’auto iniziativa. Un dipendente proattivo non ha bisogno di essere spinto ad agire né ha bisogno di istruzioni dettagliate.
Nelle organizzazioni un comportamento proattivo permette di definire rapidamente gli orientamenti di mercato, poter pianificare in anticipo lo sviluppo di nuovi prodotti e le varie attività connesse (di tipo produttivo, logistico, commerciale, di servizio, …). La tecnologia da sola, pur essendo uno strumento fondamentale, non è in grado di generare e gestire il cambiamento con un approccio proattivo.
Essere proattivi significa essere sempre un passo avanti, anticipando i bisogni e prendendo l’iniziativa per migliorare la performance senza aspettare che siano gli altri a decidere. Da notare che un simile comportamento può essere in contrasto con quello richiesto dall’azienda, perché non si tratta di adattabilità: l’adattabilità risponde al cambiamento in atto mentre la proattività avvia il cambiamento.
Proattività come responsabilità
Stephen Covey (educatore, scrittore e uomo d’affari statunitense), nella sua pubblicazione più famosa (I sette pilastri del successo, Bompiani) chiarisce che la proattività va oltre il semplice prendere l’iniziativa e che il comportamento dell’essere umano dovrebbe dipendere dalle sue decisioni, non dalle condizioni in cui vive. La natura dell’uomo è quella di agire e non di subire. Le circostanze portano a una risposta che può essere reattiva, quasi istintiva e legata al contesto, o proattiva, frutto di una scelta responsabile e non necessariamente legata alle circostanze. Prendere l’iniziativa non significa essere indiscreti, sfacciati o aggressivi, significa riconoscere le proprie responsabilità e far sì che le cose accadano. Le persone che prendono l’iniziativa e quelle che la subiscono si differenziano come il giorno dalla notte e questo vale anche per le organizzazioni.
Per Covey sono soprattutto gli impegni e la fedeltà a tali impegni a rappresentare la proattività. Sono le doti umane di autoconsapevolezza e coscienza in grado di riconoscere le proprie zone di debolezza, di miglioramento e di talento, e ciò che deve essere cambiato o eliminato. In pratica prendersi la responsabilità delle proprie scelte.
Proattività come creatività
Edward De Bono (medico, psicologo, filosofo, scrittore; padre del “Pensiero Laterale”, famoso per il libro Sei cappelli per pensare, Rizzoli) definisce pensiero proattivo “l’atteggiamento in cui non ci si limita a lasciare che le cose succedano ma si diventa parte attiva del proprio destino, pronti ad affrontarne le conseguenze”, un mezzo per affrontare la realtà in modo creativo, agile e in sintonia con la vita che cambia. Anche se nessuno è in grado di anticipare il futuro, per affrontare la realtà ci sono due possibilità: applicare il pensiero reattivo o quello proattivo. Il primo è l’atteggiamento di limitarsi quasi esclusivamente a reagire di fronte agli eventi; l’altra possibilità è decidere di applicare il pensiero proattivo, preparare un piano ed evitare di essere trascinati dalle circostanze, per quanto possibile.
Per anticipare in modo efficace, originale e positivo il futuro, è necessario produrre molte idee, cioè essere creativi. Il pensiero proattivo ha bisogno di spaziare oltre il presente, richiede un atteggiamento visionario e molto flessibile. Non si tratta di essere “profondi pensatori” ma di essere piuttosto “pensatori flessibili e originali”. De Bono era solito dire che a volte i più intelligenti sono anche i meno proattivi, in effetti ci sono persone brillanti, esperte nel capire gli aspetti complessi della realtà ma incapaci di fornire alternative o nuove soluzioni. Essere proattivi vuol dire avere un atteggiamento mentale positivo, essere ottimisti, avere fiducia nelle proprie capacità e aspirare a qualcosa di meglio.
Come migliorare la proattività
La proattività è accentuata in alcune persone, quasi innata, ma è un’abilità che si può coltivare e migliorare.
Uno studio ha dimostrato quanto le persone che mettono in atto strategie proattive abbiano più possibilità di ottenere una condizione di benessere. Applicare il pensiero proattivo, secondo lo studio, è basato su due semplici strategie: la prima è porsi domande proattive (per esempio: “Di che cosa ho bisogno per sentirmi bene a lungo e a breve termine?”. “Quali cambiamenti dovrei realizzare per raggiungere i miei obiettivi?”), la seconda si basa sulla raccolta di idee preventive e sull’ideare una strategia (per esempio: se ho paura di perdere il lavoro, dovrei cominciare a pensare a un piano B).
Su questo aspetto vorrei prendere ad esempio Lionel Messi, il campione argentino, e il suo comportamento in campo. Osservandolo si nota come, quando è in attesa del passaggio, guardi poco il compagno con il pallone mentre “scansiona” a 360° lo spazio intorno a sé; così, quando arriva il pallone, ha già elaborato e scelto cosa fare, ha anticipato (in più, ci mette la sua creatività).
Per riassumere, la proattività si può migliorare lavorando su alcuni aspetti: la capacità di assumere i rischi delle proprie azioni, la fiducia nei propri mezzi, lo spirito di osservazione, la creatività e l’intuitività, la gestione degli imprevisti e soprattutto la fiducia nelle proprie scelte con senso di responsabilità.
Proattività per l’Informatore Scientifico
Per l’argomento utilizzo il capitolo del mio libro dedicato alla prospezione che, negli anni Novanta, era vista come la capacità strategica di capire come un certo comportamento possa aprire nuove opportunità, cioè “faccio una certa cosa per ottenere qualcosa subito e, allo stesso tempo, preparo il terreno per il futuro”. Nell’ambito della comunicazione e dei rapporti interpersonali, che è il lavoro dell’Informatore Scientifico, significa andare più a fondo e più lontano: impostare e costruire qualcosa di duraturo sin da subito, oltre ad allargare l’ambito delle relazioni.
Jeb Blount (saggista e CEO di Sales Gravy) insisteva sul fatto che, qualsiasi sia l’oggetto del processo di vendita esiste un passato, un presente e un futuro: il passato ci dà il consolidato (un dato di fatto, non modificabile), il presente ci impegna al raggiungimento degli obiettivi, il futuro dipenderà dall’andamento generale ma anche da come noi lo prepariamo, da cui la progettualità, la prospezione (lavoro nel presente e anche per il futuro) e una mentalità proattiva. E fa tre considerazioni.
- Quando le opportunità diminuiscono, il cliente diventa un “limone da spremere”. Questo porta a un comportamento tale che viene percepito negativamente e di conseguenza i risultati diminuiranno (Law of need o la legge del bisogno).
- I contatti fatti in 30 giorni portano risultati nei 90 giorni successivi. Saltare un giorno non sembrerà avere conseguenze, i risultati continueranno ancora per un po’ ma le conseguenze si avranno nei tre mesi successivi (30 day rule o la regola dei 30 giorni).
- Alcuni contatti hanno una maturazione più lenta rispetto ad altri. Questo si tende a dimenticarlo ma è una perdita enorme: è meglio evidenziarli e dedicar loro un lavoro specifico (Law of Replacement o la legge del rimpiazzo).
Nella pratica quotidiana conviene semplicemente chiedersi se si è soddisfatti dei medici in schedario, del loro numero e della loro tipologia. E poi valutare quanti di questi rappresentano un’opportunità per la prossima settimana. L’entità dello schedario è un falso problema, non è una questione di “avere tanti medici”, ma di “avere quelli giusti”. La massima produttività si ottiene con uno schedario di qualità: prima di iniziare individuiamo chi ci interessa ed è interessato. Altrimenti l’efficacia sarà bassa perché significa girare a vuoto.
Blount si concentra sullo schedario ma lo stesso atteggiamento si può considerare per la visita al medico: aldilà dell’intervista in atto ci sarà sempre occasione di rivedere quel medico quindi un futuro da progettare. Questo si traduce nella ricerca di “terreni fertili da coltivare”: quali prodotti evidenziare, quali argomenti sviluppare, quali pazienti inquadrare (in realtà, questi ultimi dovrebbe indicarli il medico). Così aumenta il focus sugli interessi del medico e si migliora il rapporto con lo stesso medico (sappiamo quanto la relazione migliori la comunicazione).
Per il lavoro di Informazione vale il principio: interagisco oggi per quello che voglio comunicare oggi ma cerco anche di costruire le occasioni per le future comunicazioni. Questo vuol dire aumentare le relazioni, “conquistare” l’interlocutore che sarà più legato tanto più sarà stato coinvolto e, in più, aiuterà a trovare altre persone per costruire ulteriori relazioni (più prescrittori). Senza dimenticare che allargare la comunicazione vuol dire anche allargare gli argomenti da trattare, cioè si può agire anche all’interno delle relazioni consolidate (più prescrizioni).
Conclusione
In sintesi, possiamo definire la proattività come una caratteristica individuale che spinge all’ascolto, alla riflessione, alla creatività e che porta a un comportamento libero dai condizionamenti, con un atteggiamento assertivo, una vera scelta libera. C’è quindi il paradosso che le aziende cercano un profilo di questo genere, che risolve e anticipa i problemi ma devono anche accettarne l’autonomia … è sempre così?
Voglio sottolineare che il comportamento proattivo vale anche, e soprattutto, nelle scelte individuali della vita lavorativa. L’Informatore Scientifico lavora, per la maggior parte del tempo, da solo e quindi ha la possibilità di assumersi la responsabilità di fare quotidianamente delle scelte proattive, fatte salve le strategie aziendali di fondo. In particolare, scegliere come interagire con il medico e scegliere quali medici vedere, scelte che, fatte con convinzione e responsabilità, restano un patrimonio personale nel presente e nel futuro.
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