A fine marzo di quest’anno è stato presentato nel corso di una conferenza stampa lo strumento “Hi Health Care” della Fondazione The Bridge. L’obiettivo del progetto è sfidante: creare un Osservatorio per monitorare l’accesso ai servizi del SSN e, attraverso l’analisi dei dati, supportare le decisioni inerenti alle politiche sanitarie sia a livello regionale che nazionale.
L’osservatorio si dichiara indipendente, basato cioè su criteri di valutazione trasparenti, e in grado di rendere accessibili i dati in un formato aperto (open data). Questa iniziativa ci riporta ancora una volta a fare il punto della situazione degli Open Data in Italia e sul nostro stato di innovazione digitale.
Ma cosa sono gli open data?
“Gli Open Data, o dati aperti, sono per definizione dati liberi e fruibili al pubblico, in modo gratuito e legale, anche per fini commerciali”.
La possibilità quindi di accedere liberamente e analizzare dati in autonomia da parte dei singoli cittadini e delle imprese è strettamente collegata allo sviluppo economico di un Paese, migliorando la collaborazione, la partecipazione e l’innovazione sociale.
L’argomento è così rilevante che già da diversi anni l’Unione Europea monitora la situazione degli stati membri attraverso precisi indicatori atti a identificare il tasso di maturità dello sviluppo degli Open Data per ogni singolo Paese. Secondo l’Open Data Maturity Report 2021 l’Italia si posiziona all’ottavo posto per livello di maturità su 34 paesi e rientra nel segmento “fast-tracker”.
Il risultato è positivo. Sembra che i numerosi piani di azione attuati dal Governo negli ultimi 10 anni abbiano permesso all’Italia di costruire una buona base per la gestione nazionale degli Open Data e di migliorarla nel tempo.
Nonostante ciò, secondo il 4° Piano d’azione nazionale dell’open government (2019-2021), “sebbene siano stati realizzati numerosi sforzi orientati alla pubblicazione di Open Data, ad oggi rimangono da affrontare ancora una serie di difficoltà che rallentano il riutilizzo dei dati. In particolare, è necessario promuovere una cultura del patrimonio informativo disponibile, coinvolgendo maggiormente le figure che definiscono l’offerta e soprattutto la domanda degli Open Data”.
La situazione dell’Italia
Facendo per ora un atto di fiducia sulla qualità e appetibilità degli Open Data disponibili in Italia, sembra emergere in modo importante che a fronte della creazione di piattaforme dedicate, la domanda non è allineata all’offerta.
Tra le possibili risposte che potrebbero spiegare questo fenomeno, una delle più rilevanti si trova nell’ultimo rapporto relativo all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società in Italia del 2021 (DESI), in cui l’Italia fra i 27 Stati membri dell’UE analizzati si colloca al 20° posto con un indice DESI di 45,5 (media EU 50,7).
“Il Digital Economy and Society Index svolge due compiti principali. Monitorare le prestazioni digitali complessive e seguire i progressi dei singoli paesi dell’UE nella competitività digitale”.
Si tratta di un indice composito che, attraverso l’analisi di alcune precise dimensioni (capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali, servizi pubblici digitali), riassume lo stato di digitalizzazione dei paesi UE, identificando le aree di maggiore criticità. L’Italia mostra performance decisamente basse nelle dimensioni relative alla “connettività” e al “capitale umano” (molto al di sotto della media rispetto agli altri paesi dell’UE).
Rispetto alla criticità del segmento “connettività”, per il quale il Governo ha già fatto e previsto stanziamenti per migliorare le coperture e le velocità di banda (Piano Italia 5G e Piano Italia a 1 Giga), il ritardo rispetto ad altri paesi dell’UE sul segmento “capitale umano” è il più allarmante.
“Rispetto alla media UE, l’Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi, collocandosi solo al 25º posto su 27 paesi. Solo il 42 % delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede perlomeno competenze digitali di base (56 % nell’UE) e solo il 22 % dispone di competenze digitali superiori (31 % nell’UE). La percentuale di specialisti TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) in Italia è pari al 3,6 % dell’occupazione totale, ancora al di sotto della media UE (4,3 %). Solo il 15 % delle imprese italiane eroga ai propri dipendenti formazione in materia di TIC, cinque punti percentuali al di sotto della media UE.”
Il futuro è nelle competenze digitali
In Italia abbiamo quindi ancora molta strada da fare nell’ambito dei dati e dell’innovazione digitale. La pandemia COVID-19 ha accelerato un processo tecnologico già annunciato da tempo, che abbiamo dovuto affrontare, senza però essere preparati, in tempi più rapidi del previsto.
Dopotutto è meglio così, in un’epoca dove i concetti di Intelligenza Artificiale, Big Data, Internet of Things (IoT) entrano nel nostro quotidiano, sia in campo professionale che personale, dare un forte impulso allo sviluppo delle competenze digitali è decisamente prioritario.
I commenti a questo articolo sono chiusi