Cosa è accaduto a un informatore e perché il problema è un fatto sociale
Il problema è all’origine. E la questione riguarda la mancanza di un indirizzo politico e istituzionale chiaro che, di fatto, metta mano al tema dell’informazione scientifica dando dignità e un ruolo preciso nel panorama del mondo farmaceutico nazionale alla professione degli Isf. Nulla di più. La mancanza di un albo, la mancanza del riconoscimento ufficiale di una professionalità legata a doppio filo con l’ambiente sanitario (attenzione: sanitario), ha generato la catena di equivoci che è oggi alla base del motore di chi opera nel settore e che è fonte di disagi per chi la vive sulla propria pelle e (a volte) fa la fortuna di chi invece sfrutta la situazione per trarre un vantaggio diretto legato a una parola: marketing. Ossia quel mondo di chi ritiene che gli informatori scientifici del farmaco non siano niente altro che venditori e che, alla fine dei conti, i loro rapporti personali col mondo medico siano semplicemente una questione commerciale. La fiducia, lo studio, l’importanza di restare informati sul settore, la formazione, anni di rapporti costruiti sulla base di tutte queste componenti che sono elemento fondante dell’attività, rischiano di passare in secondo piano per lasciare posto esclusivamente a numeri, percentuali e bilanci.
Noi di informatori.it abbiamo affrontato la questione in più occasioni. Lo abbiamo fatto dando voce alle Istituzioni (qui, ad esempio, ne abbiamo parlato con la deputata Rosa Menga), anche a chi rappresenta il mondo medico (qui e qui due articoli in cui facciamo il punto con la Fmmg e la Fnomceo) e a chi si occupa di ricerche e numeri. Poi abbiamo parlato con gli informatori scientifici dando voce ai loro sfoghi (anche social) e spazio a commenti, interventi ed editoriali.
Sulla propria pelle
Alla fine dei conti, insomma, lo spazio per raccontare cosa accade nel mondo degli Isf non è mai abbastanza e abbiamo deciso di prendere una delle storie che appartengono a questo frangente e metterle nero su bianco. La storia di uno per parlare della storia di tanti. Forse tutti. Per ragioni di riservatezza non faremo il nome del professionista in questione. Diciamo subito che è un informatore scientifico di più di 50 anni e che da sempre lavora nel settore. E diciamo, tanto per tirare subito le fila del discorso, che prima di essere una vittima dell’emergenza Covid è una vittima del sistema che abbiamo descritto all’inizio di questo articolo e di cui informatori.it denuncia difficoltà e distorsioni praticamente da sempre.
L’Isf di cui parliamo, appunto più di 50 anni di età, lavorava fino al giorno prima del lockdown per una società farmaceutica del nord Italia nella veste di area manager su due regioni e che poteva contare sul supporto di più di dieci colleghi. “Ad inizio anno – racconta – la società ha assunto con contratto nazionale un direttore vendite che inizia ad operare con una impostazione che, ovviamente, non è propriamente collegata alla nostra attività professionale”. Numeri, numeri, numeri. “Lavoravo con questa azienda da diversi anni, non avevo mai avuto problemi e questo nonostante il contratto a partita Iva, dunque come consulente, non era certamente in linea con quanto previsto dalla normativa, il mondo degli Isf gira così e fino a quando dallo Stato non arriverà una presa di posizione concreta le cose non cambieranno. La verità è che attualmente c’è un uso e un abuso di consulenze nel nostro mondo”. Il nostro, dopo un alcuni mesi di attività, aveva dunque ottenuto l’incarico di area manager almeno fino all’arrivo del nuovo direttore vendite. “Dall’inizio del lockdown c’è stato un cataclisma. Da più di una dozzina di informatori scientifici del farmaco siamo passati a una manciata di unità. Intere zone vuote, anche senza che questa scelta fosse giustificata da una iniziale riduzione del fatturato. Hanno semplicemente operato un taglio. Punto. Pochissime persone chiamate a gestire due regioni grandi, con milioni di abitanti e per altro estremamente importanti. Due regioni che prima erano seguite da più di una dozzina di Isf”.
Cosa è successo è presto detto: “Durante il lockdown la società ha chiesto a tutti di organizzarsi per il telelavoro, ovviamente molti lo hanno fatto e nonostante questo non fosse previsto dal contratto. Nessun problema, si sono organizzati e hanno lavorato ugualmente cercando di fare l’impossibile, ossia contattare il mondo sanitario, medici e farmacisti, in un momento di grande crisi e grande impegno per l’emergenza Covid.
Avevano garantito un minimo contrattuale di 500 euro legato però all’incremento delle vendite. Una cosa assurda, visto il momento, parlare di incremento delle vendite. Il risultato? Alcuni colleghi hanno fatturato 85 euro. 85 euro in un mese. Da qui, da queste frizioni, la società ha rimesso mano all’organizzazione e avviato i tagli”. Il rischio che la crisi nata dal Covid nasconda dunque altre intenzioni da parte di alcune società che vogliono cogliere l’attimo per riorganizzarsi ridimensionando la figura degli Isf è sempre dietro l’angolo e in alcuni casi si palesa proprio nei modi descritti dal nostro informatore che ha pagato quanto accaduto con la fine della sua collaborazione con l’azienda in questione: “Anni di lavoro per creare una rete sono stati gettati al vento e, ovviamente, siamo passati alle vie legali.
Mi chiede se poteva essere utile un albo professionale? Se ne parla da anni, da quando faccio questo lavoro almeno. Certamente, in questo caso, ci avrebbe aiutato anche se il problema dell’inquadramento come consulenti è talmente grande ed equivoco che merita un approfondimento a parte, prima ancora di ragionare su un ordine professionale. La verità è che dovrebbero vietare per l’informazione scientifica questo tipo di contratti, dovrebbero smettere di sfruttare la categoria, di farci vivere su provvigioni spesso impossibili da guadagnare e investire sulla nostra formazione e sulla qualità del nostro lavoro a supporto del mondo sanitario. Siamo alla mercé di tutto e di tutti e quello che accade ancora oggi è sotto gli occhi di tutti senza che nessuno intervenga: in molte Asl non ci permettono di entrare, le Regioni navigano a vista mentre i medici si muovono in ordine sparso. Non è questo che ci permette di supportare il settore ora, in un momento di crisi e neanche domani quando sarà ancora più forte il bisogno di una informazione scientifica di altissimo livello che sia in grado di affrontare le sfide del momento e all’altezza di un futuro che si fa sempre più complicato. Per affrontare questo futuro non bastano i numeri dei bilanci, occorre capacità, preparazione, studio. Altro che percentuali e provvigioni”.
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