Vitamina D: possibile revisione della Nota 96?

Vitamina D: possibile revisione della Nota 96?

Da molti anni l’impiego della vitamina D è oggetto di grande attenzione da parte dei ricercatori di tutto il mondo per il suo supposto ruolo in molte patologie. Recentemente sono stati pubblicati diversi studi, tra i quali uno particolarmente interessante apparso su JAMA nel 2021, (1) riguardanti la possibile attività nell’infezione da Covid 19.

Durante lo studio è stata evidenziata una buona tollerabilità relativamente all’assunzione di un’alta dose di vitamina D e non sono state riscontrate reazioni avverse acute gravi.

Tuttavia, in base alle evidenze ottenute dallo studio, gli Autori concludono che una singola dose elevata di vitamina D3 in pazienti ospedalizzati con COVID-19 non ha ridotto significativamente la durata della degenza ospedaliera rispetto al trattamento con placebo, né i decessi, gli ingressi in terapia intensiva o la necessità di ventilazione meccanica. Per questi motivi non è stato riscontrato un vantaggio clinicamente rilevante nell’uso della vitamina D3 per il trattamento di forme moderate o gravi di COVID-19.

Nel luglio 2022, invece, è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM) uno studio che, partendo dalla nota evidenza di un  larghissimo impiego di farmaci ed integratori a base di vitamina D  in pazienti a rischio di fratture,  ne ha voluto verificare l’efficacia rispetto al placebo  in soggetti senza particolari stati carenziali e non affetti da osteoporosi.

LO STUDIO DEL NEJM-METODI

Il lavoro in esame (2) riguarda uno studio ausiliario del Vitamin D and Omega-3 Trial (VITAL), uno studio fattoriale, randomizzato che ha esaminato se la vitamina D 3 (2000 UI al giorno), acidi grassi omega-3 (1 g al giorno) o entrambi fossero in grado di prevenire il cancro e le malattie cardiovascolari negli uomini di età pari o superiore a 50 anni e nelle donne di età pari o superiore a 55 anni negli Stati Uniti.

Gli endpoint primari erano: (a) eventi CVD maggiori (un endpoint composito di mortalità per infarto miocardico, ictus e CVD) e (b) cancro.

Gli endpoint CVD secondari erano (a) un composto di eventi CVD maggiori più rivascolarizzazione coronarica e (b) i singoli componenti degli endpoint CVD compositi.

Gli endpoint secondari per il cancro erano il sito specifico del tumore e la mortalità totale per cancro.

Al termine dello studio la supplementazione con vitamina D non era associata ad un minor rischio di entrambi gli endpoint primari mentre per quanto riguarda l’assunzione degli omega 3 alcune analisi hanno evidenziato una significativa riduzione degli interventi coronarici percutanei (HR, 0,78), dell’infarto miocardico fatale (HR, 0,50) e della malattia coronarica totale (CHD), definita come infarto miocardico + rivascolarizzazione coronarica + morte CHD (HR, 0,83).

Tra i sottogruppi, c’è stata una riduzione del 40% del rischio di infarto miocardico totale tra i membri del gruppo omega-3 che assumevano meno di 1,5 porzioni di pesce a settimana (p = 0,048) e una riduzione del 19% nei principali eventi cardiovascolari, anche se gli stessi AA riferiscono cautela nell’interpretare tali risultati.

Nello studio ausiliario in esame i partecipanti non sono stati reclutati sulla base di carenza di vitamina D, massa ossea ridotta o osteoporosi. Fratture incidenti sono state segnalate dai partecipanti su questionari annuali e giudicate da una revisione centralizzata delle cartelle cliniche.

Gli end point primari erano le fratture incidenti totali, non vertebrali e dell’anca. I modelli di rischio proporzionale sono stati utilizzati per stimare l’effetto del trattamento nelle analisi dell’intenzione di trattare.

LO STUDIO DEL NEJM-RISULTATI

Fra le 25.871 persone arruolate nello studio (50,6% donne [13.085 su 25.871] e 20,2% neri [5106 su 25.304] sono state segnalate 1991 fratture in 1551 partecipanti nel corso di 5,3 anni.

La vitamina D3 supplementare, rispetto al placebo, non ha avuto un effetto significativo sulle fratture totali (che si sono verificate in 769 partecipanti su 12.927 nel gruppo vitamina D e in 782 partecipanti su 12.944 nel gruppo placebo; hazard ratio, 0,98; 95% intervallo di confidenza [CI], da 0,89 a 1,08; P=0,70), fratture non vertebrali (hazard ratio, 0,97; IC 95%, da 0,87 a 1,07; P=0,50) o fratture dell’anca (hazard ratio, 1,01; IC 95%, 0,70 a 1,47; P=0,96).

Non vi è stata alcuna modifica dell’effetto del trattamento in base alle caratteristiche di base, inclusi età, sesso, razza o gruppo etnico, indice di massa corporea o livelli sierici di 25-idrossivitamina D.

Non ci sono state differenze sostanziali tra i gruppi negli eventi avversi valutati nello studio dei genitori.

LO STUDIO DEL NEJM-CONCLUSIONI

L’integrazione di vitamina D 3 non ha comportato un rischio di fratture significativamente inferiore rispetto al placebo tra gli adulti di mezza età generalmente sani e gli anziani che non sono stati selezionati per carenza di vitamina D, ridotta massa ossea o osteoporosi.

Secondo l’AIFA i risultati di questo studio potrebbero portare ad una revisione della nota 96 per migliorare ancora di più l’appropriatezza prescrittiva di un farmaco che ha dimostrato, nel corso degli ultimi anni, di incidere notevolmente sulla spesa farmaceutica.

Autore: Antonino Annetta

Antonino Annetta

Farmacista territoriale, specialista in farmacologia applicata Università La Sapienza Roma; Master II livello Politiche del Farmaco Università Tor Vergata di Roma; perfezionato in Fitoterapia presso Università La Sapienza di Roma; già docente presso la Luiss Business School nel corso di formazione manageriale per farmacisti; autore di numerose pubblicazioni e volumi a carattere scientifico sulla farmacologia, fitoterapia e legislazione farmaceutica; relatore in numerosi convegni e corsi di aggiornamento professionale.

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