Verso nuove assunzioni, ecco i piani dell’AD Federico Chinni
In una recente intervista ha sottolineato una linea di pensiero e di approccio al lavoro piuttosto chiara: agire col rigore di una multinazionale pensando e muovendosi come una startup. Federico Chinni, lunga esperienza nel mondo farmaceutico, è approdato da qualche mese alla guida di UCB Pharma, azienda biofarmaceutica belga che in Italia sta facendo investimenti notevoli contando su un fatturato netto di oltre 150 milioni di euro che va a sommarsi ai ricavi totali pari a quasi 5 miliardi di euro. Cifre importanti che la società investe per un quarto in ricerca e che andranno ad incrementare un piano di assunzioni anche sul fronte italiano compreso quello rappresentato dall’informazione scientifica.
Di questi tempi parlare di investimenti non è semplice, lei invece ha rilanciato puntando su una linea di pensiero alimentata da un bilancio consolidato ma anche dalla voglia di fare qualcosa di innovativo. Ecco: come fa una multinazionale a pensare come una startup se si parla, ad esempio, di informazione scientifica?
“Le dico una cosa: io ho grande stima di chi fa l’imprenditore in prima persona, mettendoci del suo ogni giorno. Come immagina, lavorare in una multinazionale non è sempre la stessa cosa. Insomma, si rischia di adagiarsi, cosa che una persona comune, un imprenditore come tanti, non può assolutamente permettersi. Cosa che neanche noi possiamo permetterci: intendo esattamente questo quando sostengo che dobbiamo pensare come una startup, con una mentalità imprenditoriale. Ma il concetto va declinato meglio”.
Si spieghi…
“Nelle multinazionali ci sono mille logiche e non tutti si rendono conto che l’azienda, in realtà, va sempre considerata come la propria da tutti i dipendenti. Questo aspetto sfugge e non alimenta invece il fuoco che dovremmo sempre avere, quello che anima il nostro fare quotidiano, il nostro modo di pensare e di agire che invece gli imprenditori che scendono in campo in prima persona devono avere e rafforzare ogni giorno. Oggi siamo in un tempo in cui non è più il grande a mangiare il piccolo ma il più veloce a mangiare quello lento. Ecco: bisogna pensare, essere veloci e, questo sempre, alimentare il fuoco di cui parlavo prima. Ogni giorno, anche in una multinazionale”.
Ci parli degli aspetti innovativi che riguarderanno anche il settore dell’informazione scientifica…
“Noi gli aspetti innovativi li abbiamo messi in campo e sfruttati da un paio di anni, almeno dal 2018. Durante tutto il 2019, Ucb ha investito molto nell’informazione scientifica da remoto. Attenzione, un fatto importante: i nostri informatori scientifici del farmaco sono protagonisti di questo processo”.
Niente call center e affidamenti esterni?
“Zero. Sono i nostri informatori scientifici a condurre interviste da remoto, attraverso pc, con i medici. Non esiste una informazione scientifica fatta da altri, e non può esistere, per noi proprio sui medici a cui parliamo dei nostri prodotti. Niente call center. E sa perché? Semplice: da un lato io penso che i nostri informatori sono quelli che meglio conoscono i nostri prodotti, i medici, gli ospedali dove questi medici lavorano, insomma sono loro che devono stare nella cabina di comando, non un call center. Ecco, proprio l’esperienza fatta negli anni scorsi con duecento remote call con medici e personale sanitario, ci ha aiutato moltissimo al momento dell’emergenza Covid”.
Come vi siete regolati con gli investimenti?
“Semplicemente abbiamo organizzato una piattaforma digitale, che tra l’altro abbiamo rivisto e ampliato proprio all’inizio del lockdown, per organizzare incontri in remoto con il personale sanitario. Parliamo di semplici incontri con la telecamera e il computer. Tra gli investimenti, ma questo ripeto già da due anni, abbiamo previsto un training formativo adeguato anche sul modo di interagire e sul come stare davanti alla telecamera. Abbiamo ragionato e studiato sul perché un medico dovrebbe accettare di avere questo tipo di contatto anziché quello di persona e ci siamo resi conto, insieme ai nostri informatori, che questo strumento ci da una opportunità importante per una comunicazione scientifica di valore”.
Così a inizio Covid vi siete ritrovati questa organizzazione…
“Esatto. Dall’8 marzo abbiamo lanciato il cosiddetto mese digitale che poi ovviamente si è esteso fino ad oggi. Da allora abbiamo avuto più di 400 ore di colloqui fatti attraverso questa modalità. Nessuna chiusura, nessuna interruzione, l’informazione scientifica si è semplicemente spostata su questo canale e così non ci siamo mai fermati”.
Quante persone, sul piano degli Isf ha coinvolto questa organizzazione?
“Come Ucb Italia? Circa 45 persone, tutte impegnate in una attività digitale, non abbiamo fatto ricorso a ferie o ammortizzatori sociali”.
E cosa hanno detto i medici di questa organizzazione? Anche prima del Covid, ovviamente…
“Noi alla fine di queste remote call, inviamo sempre una richiesta di feedback e il dato è sempre stato straordinario, già dal 2019. Ovvio che il Covid ha funzionato da detonatore, per questa nuova organizzazione ma i risultati sono estremamente positivi. Indagini in tal senso, anche di società specializzate, confermano che i medici si stanno rendendo conto che l’interazione digitale è interessante per l’elevato contenuto scientifico che si riesce a trasferire”.
Non c’è un tema relativo all’età della classe medica? Insomma, davanti ad una media di età avanzata può essere più difficile passare al digitale…
“L’età, secondo la nostra esperienza, non è una barriera. Abbiamo medici 60enni entusiasti di questa modalità di interazione e altri più giovani che forse lo sono meno. Insomma il fattore età non rappresenta una variabile importante, almeno non tanto quanto un sostanziale preconcetto che può essere più legato alla personalità di chi ci troviamo davanti”.
Avete investito un budget impegnativo su questo fronte?
“Diciamo che ci siamo organizzati, come le ho detto, facendo molta formazione. Certo abbiamo avviato l’acquisto di relative licenze, di una piattaforma già rivista e resa più efficace. La cosa importante, più del budget, è che abbiamo dato la possibilità ai nostri informatori di lavorare e di farlo in maniera agevole arricchendo il loro bagaglio di contenuti, di preparazione anche sul piano dell’innovazione. Ci sono stati, dal 2018, importanti momenti di training e abbiamo messo in piedi un processo di change management che ci ha aiutato a fare abbracciare questa rivoluzione ai nostri informatori. Il concetto era: non fatelo per noi ma per arricchire voi stessi. Questo lavoro ha dato i suoi frutti e l’aspetto della motivazione è stato fondamentale”.
L’età media dei suoi informatori scientifici?
“Circa 50 anni, tutti con contratto. La questione, anche vista la domanda, è che l’esperienza oggi può paradossalmente diventare un handicap se l’unico fine è quello di replicare comportamenti che hanno avuto successo in passato anche verso il futuro. Se siamo invece capaci di rincorrere i cambiamenti, che sono veloci, e trasformare l’esperienza in attitudine continuando a imparare e investire su noi stessi, siamo certamente vincenti”.
Gli informatori hanno recepito subito il tema dell’innovazione tecnologica e dei contatti da remoto o avete avuto problemi?
“Siamo partiti da un presupposto: la fiducia. Se manca la fiducia tra chi gestisce il gruppo e il gruppo stesso è tutto più complicato. Detto questo ha ragione: gli informatori all’inizio hanno avuto delle remore ritenendo che il face to face sia più funzionale, dovendo affrontare strumenti digitali più distaccati, che possono dare problemi di collegamento o distrarre il medico. Insomma si ha paura del video perché, si pensa, non si può gestire direttamente. Quello che abbiamo fatto è semplicemente rispondere a queste domande e dare gli strumenti per affrontare ogni momento. Abbiamo lavorato tramite degli ambassador, ci siamo mossi partendo da chi aveva meno remore ed era più pronto a mettersi in discussione e attraverso questi abbiamo lavorato sul gruppo per mostrare, con esperienze dirette, i benefici di questa linea di condotta. Conti alla mano ci siamo resi conto che i medici ci dedicano addirittura più tempo di qualità: se una visita di persona dura normalmente poco sopra i cinque minuti, in digitale la nostra media supera i trentacinque minuti. E già questo fatto ha aiutato tutti ad aprire un po’ gli occhi. Ovvio poi che nel digitale bisogna lavorare sui contenuti che devono essere di valore, di reale approfondimento e quindi dietro abbiamo un team marketing adeguato che deve fornire i giusti strumenti agli isf.
E tutto quello che non viene fuori dalle call dirette, ad esempio mail e telefonate, non rischia di essere appaltato alle segreterie degli studi medici?
“La nostra logica porta l’informatore scientifico a costruire la pianificazione di interazione con i medici e questo deve contemplare anche i mezzi alternativi al face to face. Questo prima del Covid, ovvio che oggi siamo in un momento che va gestito necessariamente con la tecnologia ma appena possibile metteremo in campo tutti gli strumenti per dare forza a questo pensiero senza dimenticare i mezzi, tutti, che abbiamo a disposizione. L’informazione non scende mai di livello, deve solo fare un salto di qualità”.
Avete dunque rinunciato completamente all’informazione face to face?
“Assolutamente no. Quello che abbiamo iniziato a fare subito è integrare i vari canali e renderli complementari. Prima del covid il face to face per noi era pari al 90% e il resto impegnava gli informatori per il 10%”.
Se dovesse finire l’emergenza tornereste a quelle soglie o abbandonereste completamente il face to face?
“Sicuramente torneremo al face to face ma in misura più ridotta, ci stiamo rendendo conto che da tanti punti di vista l’informazione da remoto può funzionare, anche per quel che riguarda la qualità della vita degli informatori, dei medici stessi. E poi sul piano della sostenibilità, insomma si viaggia meno e le aziende devono ovviamente porsi anche temi di natura ambientale”.
Sempre restando sul tema delle aziende, come ha visto recentemente c’è stato un incontro tra sindacati e Farmindustria. Si viaggia, sul tema dell’informazione scientifica, un po’ in ordine sparso in un caos generalizzato dove le Regioni si muovono come vogliono senza avere alcuna indicazione dal Governo. Cosa ne pensa? Servirebbe un indirizzo di natura nazionale più preciso?
“Ce lo aspettiamo e lo auspichiamo. Questa babele di norme non facilita nessuno. Se poi si vuole decidere di procedere diversamente da Regione a Regione ma con una linea di regia nazionale anche in base alle singole esigenze va bene, ma serve comunque una regia unica”.
Lei prima di Ucb ha avuto altre esperienze importanti, come si trova in questo ruolo ora visto che l’azienda ha annunciato importanti investimenti…
“Ucb investe da anni e il momento Covid non ha portato a un blocco da questo punto di vista. Siamo convinti che il mondo rientrerà in un futuro migliore e io personalmente credo che il mondo farmaceutico e la filiera della salute usciranno da questa emergenza come settori fondamentali per la crescita del Paese”.
E tra questi investimenti prevedete anche di dedicarvi all’ampliamento della platea di informatori?
“Certamente. In questo periodo stiamo assumendo, lo stiamo facendo anche in modalità da remoto e abbiamo posizioni aperte e altre che apriremo nelle prossime settimane”.
Una cifra?
“Entro fine anno dovremmo assumere circa 25 posizioni tra field e personale di sede
Prima parlava di come verrà visto in futuro il settore farmaceutico, soprattutto dopo questa emergenza… cosa si aspetta davvero?
“In linea generale, ne sono convinto, il settore farmaceutico non verrà più visto con una certa diffidenza, almeno non con quella del passato, visto che molti avranno capito che un euro investito in salute è un euro che torna indietro molto più di quanto non si sia messo sull’investimento”.
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